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mercoledì 12 novembre 2014

Nutrizione artificiale enterale - Parte 2/2

Di Fabrizio Franchi



Un approccio di interesse per mantenere l’equilibrio microbico intestinale sembra essere l’uso di preparati batterici (probiotici) associati a prebiotici (fibra solubile e composti bifidogeni). Perché la nutrizione enterale può contribuire all’infiammazione, a diminuzione delle difese immunitarie e a sepsi? Verrebbe subito da pensare alle conseguenze delle polmoniti ab ingestis (o meglio da aspirazione) oppure alle infezioni della stomia nella PEG. Le possibili spiegazioni partono dal riscontro, dapprima in studi animali e in seguito nell’uomo, che alcune formulazioni standard enterali, povere di omega-3 e fibre (es. oligofruttosaccaridi, FOS) si correlavano a stati infiammatori e ad aumentata traslocazione batterica dall’intestino, fin dalle fasi iniziali di somministrazione. Si è visto recentemente che una frazione della membrana cellulare dei batteri Gram negativi, il lipopolisaccaride (LPS), aumentava transitoriamente in circolo con cibi particolarmente calorici (soprattutto abbondanza di grassi saturi a lunga catena) ma anche per altri componenti presenti o assenti nel pasto. Di fatto è da sconsigliare un apporto iper calorico nella 1-2° settimana di inizio della nutrizione artificiale. Il LPS determina nell’uomo una aumentata produzione di fattori pro-infiammatori con diminuzione delle difese immunitarie e insulino resistenza (endotossiemia metabolica). Nei soggetti obesi si riscontra una maggior concentrazione di LPS, che per molti autori sarebbe all’origine della sindrome metabolica. Naturalmente un maggior passaggio del LPS nel nostro sangue dipende anche dalla funzione di barriera del nostro intestino che può essere indebolita dal digiuno, da ischemia intestinale, dall’uso di antibiotici, dall’eccessiva assunzione di grassi e carenza di fibre alimentari, mentre è protetta ad esempio da olio di oliva, omega-3, latte e derivati, noci, frutta come fragole. Molte di queste condizioni possono inoltre creare una disbiosi, cioè uno squilibrio della flora intestinale (ad esempio diminuzione dei bifidobatteri), che a sua volta può aumentare la permeabilità intestinale e favorire una maggiore traslocazione batterica a fronte di diminuite difese immunitarie. Alla luce di queste considerazioni, soggetti particolarmente critici potrebbero essere predisposti a sepsi con soluzioni enterali standard rendendo necessario invece un approccio con altre formulazioni, più “specialistiche”, o condotto da mani esperte. Anche la rialimentazione in chi è stato a digiuno per lungo tempo necessita di molte attenzioni, considerata l’elevata mortalità in anziani per sindrome da refeeding.




Purtroppo nonostante le numerose raccomandazioni e protocolli esistenti, i clinici preferiscono “usually” agire secondo “giudizio personale” potendo instaurare una nutrizione artificiale con maggior facilità rispetto a tempi trascorsi, e avendo un non giustificato “need to feed” al di là delle reali necessità di molti pazienti: sicuramente non vengono “persi” soggetti che necessiterebbero di supporto ma si espongono tanti altri ai rischi della alimentazione artificiale. Un discorso a parte meritano i fabbisogni nutrizionali, in particolare quello proteico. Generalmente i clinici non esperti privilegiano il calcolo del fabbisogno energetico, “dimenticandosi” ad esempio di un adeguato calcolo dell’apporto proteico in quelle condizioni ipercataboliche (senza citare la necessità di tanti altri micronutrienti). Le miscele di nutrizione enterale generalmente non forniscono in questi soggetti più del 50% del fabbisogno proteico, se non aumentando “senza necessità” la quantità di miscela da somministrare e determinando un overfeeding calorico, con le relative nocive ripercussioni sullo stato di salute. In queste condizioni un approccio complementare con aminoacidi via parenterale eviterebbe al soggetto di essere “povero” di proteine e quindi più cagionevole. Un altro capitolo riguarda l’utilizzo del sondino naso gastrico/PEG come via di somministrazione di medicamenti in formulazione liquida. Generalmente a pH acido, possono determinare una occlusione del sondino interagendo con le proteine intatte e poiché altamente iperosmolari rispetto all’ambiente intestinale possono causare addominalgia e diarrea osmotica.


La metodica della PEG, tanto propagandata in anni recenti, sarebbe controindicata negli oldest old, nei soggetti anziani con stato infiammatorio (PCR > 10 mg/l), in coloro con basso BMI o con diabete per aumentata mortalità. Spesso impiegata in soggetti con demenza avanzata, più per richieste dei caregivers o per “gestione facilitata”, non ha determinato benefici in termine di sopravvivenza e qualità di vita. Il tutto non preclude una nutrizione artificiale di lunga durata in determinati pazienti. Una recente metanalisi a tale proposito, ha validato il ruolo gestionale della equipe multidisciplinare (comprendente anche caregiver e paziente) con audit programmati, senza tuttavia identificare una correlazione tra risultati e tipologia dell’equipe e/o di interventi. Quantunque sia percepibile un miglioramento del soggetto nutrito artificialmente, le evidenze non dimostrano differenze statistiche in termini di complicanze, infezioni e rericoveri ospedalieri rispetto a un metodo di gestione più tradizionale. Un modesto beneficio statisticamente significativo riguarda solo la riduzione del costo medio, di circa 620 dollari.

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