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giovedì 30 ottobre 2014

Nutrizione artificiale enterale - Parte 1/2

Di Fabrizio Franchi


Il tema della nutrizione umana ha acquisito negli ultimi anni nuove rilevanti evidenze, non ultima la conoscenza del ruolo correlato della flora batterica intestinale, meglio conosciuta come Microbiota, motivando la necessità di rivedere le linee guida. Indubbiamente si sta sviluppando un nuovo modo di pensare alla corretta alimentazione, non più basata su fondamenti generalisti, dimostratisi fuorvianti, come quantità di grassi animali e grassi saturi o “punitivo” di cibi vietati bensì su un “modello” complessivo di alimenti (es. modello mediterraneo), con nutrienti interagenti all’interno dei diversi cibi e con l’organismo stesso, loro biodisponibilità, e nel contempo necessari per provvedere al fabbisogno equilibrato di almeno 40 nutrienti essenziali, cioè non producibili dal corpo umano. Accanto ai vegetali, cereali e legumi, sono stati rivalutati alimenti altamente nutritivi e salutari come uova, latte e derivati e le stesse carni, purché non contaminati (additivi, conservanti, nitrati, xenobiotici aggiunti, ecc) o “processati” dalle moderne tecnologie, con ideologie più di mercato a low cost che di salute.

Vale anche il concetto che le produzioni “agricole” intensive impoveriscono il terreno e quindi il contenuto “originario” dei prodotti, in particolare di sali minerali. Inoltre, una più approfondita analisi del ruolo metabolico del microbiota e di altri fattori tipo quelli genetici (nutrigenetica, nutrigenomica) e lo stile di vita contribuiranno a rendere l’alimentazione “ottimale” sempre più un “fatto personale”. La malnutrizione per difetto nei paesi industrializzati è una logica conseguenza di “erronei” consigli dietetici nonché condizione frequente in una popolazione anziana, soprattutto se fragile e obbligata ad assumere numerosi farmaci. Possiamo distinguere una malnutrizione da carenza di assunzione (calorico proteica più in generale, o da singoli o più micronurienti) ed un’altra, favorita dalle patologie (disease associated). La malnutrizione è causa riconosciuta di maggiore morbilità e mortalità. La distinzione nelle due forme principali è comunque un concetto importante perché la prognosi differisce e gli interventi “correttivi” nutrizionali devono essere diversificati. Accanto ad un facile riconoscimento di un quadro conclamato di malnutrizione, sono stati identificati e studiati numerosi parametri di valutazione dello stato nutrizionale (da indici antropometrici, impedenziometrici o parametri bioumorali come albumina, alle scale di valutazione tipo Mini Nutritional Assessment), soprattutto orientati a condizioni iniziali di malnutrizione o comunque a “rischio”. Attualmente un vero gold standard riconosciuto non esiste nella pratica quotidiana anche se l’ASPEN (American Society of Parenteral and Enteral Nutrition) ha prodotto lo scorso anno un Consensus Statement di assoluto valore ma indaginoso. La necessità di uno strumento facile e di rapido impiego ne rende di fatto difficile l’applicabilità in numerosi contesti, soprattutto quello ospedaliero dove il “tempo“ è prezioso: il che non significa “qualità” di cura.


Altro tema di rilievo è quando intervenire con un supporto nutrizionale artificiale, compresi il timing o la “superiorità” della nutrizione enterale rispetto quella parenterale come espresso nelle più recenti linee guida. E’ indubbio che le tecnologie (high tech) abbiano migliorato la prognosi di molte malattie, ma è altresì vero che quelle di tipo invasivo hanno aumentato effetti indesiderati “pericolosi” come infezioni-sepsi, associate alle cure. In tal senso anche la nutrizione artificiale non si sottrae a questo rischio, ma se è ben conosciuto per quella parenterale meno noto è che anche la enterale non è esente da tale pericolo. A questo punto, entra in gioco il ruolo del microbiota, in particolare quello intestinale: capitolo “neglect” dai medici fino ad un paio di anni orsono ma che attualmente è diventato la nuova frontiera di ricerca. Il microbiota si compone di batteri, eucarioti, virus e Archeae, che ci accompagnano per tutto il corso della vita, in simbiosi con il nostro corpo. Ha un patrimonio genetico complessivo (microbioma) 150 volte superiore al nostro, e all’interno dell’intestino si rapporta -in uno stretto “contatto”- con i principali sistema endocrino e immunitario, nonché con quello che viene definito il 2° cervello. Il microbiota intestinale è in grado di produrre nutrienti essenziali come le vitamine K e del complesso B (folati e B12 compresi), di sintetizzare aminoacidi (esempio lisina), di estrarre energia “aggiuntiva” dal cibo, di condizionare processi metabolici (esempio lipogenesi, produzione di colesterolo) e infiammatorio/immunitari, di stabilire un rapporto bidirezionale con il cervello ed altro molto ancora.

Si sono dimostrate correlazioni con malattie come il diabete e l’obesità, o con l’anziano fragile; inoltre si è riscontrata la possibile “reversibilità” della sindrome metabolica con “trapianto fecale” o addirittura avanzata l’ipotesi di contrastare la malnutrizione modificando il microbiota o comunque le sue funzioni metaboliche. Il microbiota, soprattutto rappresentato nel grosso intestino, si compone di 2 phyla batterici dominanti principali (Firmicutes e Bacteroidetes) che a seconda della prevalenza dell’uno o dell’altro o a variazioni del loro rapporto possono, di fatto, rendere differenti “metabolicamente” 2 organismi umani a confronto: si è osservato nei soggetti obesi una differente proporzione dei 2 phyla rispetto ai soggetti magri, con aumento dei Firmicutes e diminuzione dei Bacteroidetes. Fino a poco tempo fa si pensava il microbiota piuttosto stabile nel corso della vita. Si è invece visto che può modificarsi e l’anziano ne è particolarmente “suscettibile”. L’alimentazione gioca un ruolo importante nel modulare il microbiota. Ad esempio le specie del genere Bacteroides sono prevalenti con una alimentazione di lunga durata proteica e grassi animali, mentre le specie del genere Prevotella si associano ad una dieta ricca di carboidrati. Lo stile occidentale “non” è ideale perché fornisce poco nutrimento ai nostri microorganismi, con diminuzione sia del loro numero che di loro diversità.


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