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domenica 10 agosto 2014

I servizi sociosanitari, la formazione e le domande sul senso dell’esistere

Di Renato Dapero

Appunti da un intervento del prof. Adriano Pessina



LE DOMANDE. Stiamo invecchiando e in un contesto così privo di spunti per permetterci di agire concretamente come facciamo a sviluppare il nostro pensiero se gli agganci pratici non ci sono? La politica non ci aiuta, l’organizzazione non ci aiuta, la motivazione del personale non è alta. Cosa dobbiamo fare?

Superato con una battuta (Si potrebbe andare a Lourdes...) il senso di impotenza che traspariva dalla domanda il professor Pessina entra nel tema ricordando che Il centro di bioetica vive facendo ricerca e facendo progetti di ricerca. Per esempio del tema delle malattie genetiche,della formazione e più di recente un progetto sulle persone in stato vegetativo. Riconoscendo che la questione economica in ogni realtà si presenta come un aspetto non secondario introduce due osservazioni. La prima è che la questione dei soldi spesso viene presentata come se fosse ineluttabile. Il punto è che dipende molto da come i soldi vengono collocati, quindi un elemento importante è il problema di come vengono distribuite le risorse.

I discorsi sulla popolazione che invecchia si sentono ormai da anni, ma non si fa concretamente nulla e tutto passa attraverso due retoriche.


  • La prima è la retorica della persona, in qualche modo molto buonista, del tipo “vogliamoci bene”;
  • Dall'altra parte si sviluppa la retorica del limite: in ogni caso le risorse sono poche non possiamo assistere tutti.
Per il superamento dell'empasse creato da queste deve prendere spazio un ulteriore concetto fondamentale che è il concetto di cittadinanza. Le questioni principali che occupano questa discussione hanno a che fare con diritti e doveri di cittadinanza. Il modello della sanità, il modello del sociale sembrano aver dimenticato che al di là degli aspetti umani, relazionali eccetera la questione fondamentale è quella dei diritti.


Viene ricordato che la nostra è un’epoca caratterizzata da innumerevoli carte dei diritti (ultimamente è stata firmata anche la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità), ma le carte dei diritti possono essere rappresentative di “diritti di carta”. Il primo rischio è che benché la loro esistenza sia segnalata in realtà nessuno le legga. Se ne può dedurre, quindi che la maggior parte delle carte dei diritti serve solamente a “coprirsi le spalle” nelle situazioni in cui si aprono i contenziosi.

Si dovrebbe ben sapere che oggi la questione della carta dei diritti e le questioni giuridiche è molto rilevante: i cittadini non solo hanno in qualche modo delle aspettative di vita ma hanno anche una certa consapevolezza di quelli che sono i loro diritti. Hanno ovviamente anche dei doveri, che a volte ricordano meno. Quindi, da questo punto di vista, la questione importante della formazione deve essere elaborata tenendo conto del fatto che, quando esercita l’attività, il formatore ha di fronte delle persone, non sono semplicemente degli operatori sociosanitari o dei medici o altro ma anche e prima di tutto dei cittadini, che hanno dei diritti e dei doveri.

È indispensabile però a questo punto, e il prof. Pessina è stato molto forte in questo, sottolineare che nella formazione oggi si dovrà parlare dell’allocazione delle risorse e della distribuzione delle risorse ma anche rendersi conto che le responsabilità hanno dei destinatari precisi. È impensabile – conclude - che si venga a chiedere una responsabilità a chi fa questo lavoro. La responsabilità è di chi in qualche modo governa. La conclusione a cui perviene il professore è che l’unica via per sollecitare le responsabilità è la cittadinanza.

Cittadinanza e partecipazione non sono una cosa di poco conto, attengono infatti a questioni che devono essere considerate nella formazione. Cita in proposito il tema del consenso informato, dell’accanimento terapeutico, il tema dell’eutanasia, della qualità della vita. Nell’ambito dei servizi agli anziani sono temi, dice, destinati prima o poi ad esplodere perché nella vicenda della cronicizzazione della malattia emergono sempre di più le domande che in qualche modo hanno a che fare anche col senso dell’esistere e non solo con la medicalizzazione.




Un’ultima riflessione viene svolta sul tema del risparmio e della rinuncia ai trattamenti. Si deve riconoscere l’opportunità del dibattito sulle direttive anticipate (o testamento biologico) confermando in merito il diritto di ciascuno si possa esprimere liberamente, ma bisogna evitare che diventino uno strumento occulto per risparmiare. Si può rinunciare a un trattamento ma deve essere realmente la decisione di rinunciare a qualcosa che di sicuro si può avere. Non sarebbe una rinuncia se riguardasse qualcosa che l’interessato comunque non può avere.

Il rischio da evitare è che, in nome dell’autonomia dei cittadini, si finisca per acconsentire a rinunce di prestazioni che non si possono comunque avere.

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