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lunedì 7 luglio 2014

L'atteggiamento nel'atto di cura - Parte 2/2

Di Dina Bonicelli e Roberta Borsari.

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Le autrici,
Dina Bonicelli e Roberta Borsari.
Un altro aspetto specifico riguarda la tolleranza. Questa non è legata all’affettività ed all’educazione, ma alla professionalità. Tolleranza significa sopportare il disordine comportamentale dell’anziano e le richieste e lamentele fuori luogo dei caregiver, comporta un accoglimento del disagio dell’altro ed un suo stemperamento. Ogni operatore sopporta in maniera diversa. Quello che dovrebbe rendere uniforme la tolleranza è l’interpretazione del comportamento dell’anziano: sopporto e contemporaneamente capisco. La comprensione dell’altro è la parte curativa della tolleranza, cioè il metodo per mantenere il giusto distacco
dagli eventi ed allo stesso tempo il fondamento di ogni strategia terapeutica. La comprensione è il risultato del percorso formativo dell’operatore che gli consente in parte di evitare gli estremi dell’intolleranza: “non ti sopporto, perché non ho alcun interesse verso di te”. Vi è il rischio che l’impreparazione lo lasci in balia del suo sentire, condizione rischiosa rispetto all’azione di cura, ma anche all’interpretazione soggettiva del significato della stessa. Infatti l’intolleranza è la dichiarazione implicita di una incapacità anche tecnica all’accompagnare nei difficili percorsi della cura. Attraverso la formazione almeno una parte delle difficoltà viene superata da insegnamenti che inducono a comprendere le cause dei comportamenti clinici e gli approcci curativi più appropriati.



In questo quadro particolare attenzione meritano i problemi emotivi, che costituiscono il fondamento della relazione di aiuto e di cura. La relazione di aiuto che è cornice e al tempo stesso strumento del progetto di cura è caratterizzata da: l’attesa di efficacia degli interventi messi in atto, l’aspettativa di reciprocità, la dimensione empatica. La relazioni di cura è quindi uno spazio di incontro e dialogo, luogo emotivo e cognitivo nel quale si struttura il modo di vedere se stessi, gli altri e la realtà. La complessità di queste situazioni si evidenzia nell’illusione di poter creare una cura senza relazione, basata esclusivamente su interventi tecnici, sottovalutando che anche le relazioni più squisitamente di “care” costituiscono cornice indispensabile per il senso e l’efficacia dei trattamenti. La relazione di aiuto e di cura è comunque sempre una relazione tra due persone: tuttavia può essere difficile riconoscere “l’altro” in persone “fragili” e costruire una storia comune, in una situazione di reciprocità, rischiando così di non accedere a quella funzione narrativa prodotta dal dialogo operatore-equipe-anziano, che è sempre fattore fondamentale di ogni terapia. La capacità e la sensibilità dell’operatore si manifestano nell’approccio con l’anziano e si sviluppano in ogni momento della relazione di cura. Solo con un atteggiamento adeguato l’operatore può portare l’anziano a fidarsi di lui attraverso un atteggiamento comprensivo, empatico.



L’operatore è chiamato ad accettare la persona cosi come gli si presenta davanti: riconoscere il soggetto come portatore di diritti, di dignità, come meritevole di amore e di rispetto, fa sì che egli si senta confermato nella sua identità, individualità e stima di sé. Una volta instauratasi una relazione di fiducia con la persona, le azioni successive dell’operatore saranno accolte con più disponibilità. Dell’anziano devono essere considerate prima di tutto le sue capacità e potenzialità, se la relazione si basa sulle capacità, l’intervento verrà inteso come processo finalizzato ad aiutare la persona a ripotenziare le proprie risorse e far percepire un sé in grado di poter influire nelle situazioni. La comunicazione è l’aspetto

imprescindibile della relazione. Lo sforzo che viene richiesto all’operatore per comunicare in modo efficace con l’anziano e la sua famiglia è quello di evitare il più possibile di standardizzare le modalità assistenziali a beneficio di una personalizzazione delle risposte con l’aiuto della propria sensibilità e della comprensione dei bisogni e delle necessità degli anziani. La comunicazione implica una relazione che presuppone sempre un certo grado di coinvolgimento emozionale.



L’operatore che si rapporta all’anziano in modo empatico è in grado di porre basi di fiducia e di rispetto, ed è consapevole di essere in relazione con un mondo che non è possibile giudicare e sul quale non è possibile agire delle trasformazioni a proprio piacimento in quanto l’altro è sempre attivo nella relazione. La capacità di ascoltare nasce da un atteggiamento di apertura, di condivisione, di partecipazione che consente di entrare in contatto con il mondo interiore di un’altra persona. Prestare ascolto significa fare attenzione al contenuto emotivo che l’anziano vuole trasmettere. Se l’anziano percepirà la disponibilità all’ascolto dell’operatore, avrà una conferma del valore di sé e della sua vita. Niente avviene mai per caso. Il rispetto della soggettività, delle credenze, dei valori, dei sentimenti e delle abitudini di ognuno deve essere alla base della cura di ogni persona fragile.


Tra operatore e anziano c’è inevitabilmente una differenza di  posizione: l’uno risponde ad un bisogno dell’altro, ma allo stesso tempo il secondo trasmette la sua esperienza, il suo vissuto al primo e prende le decisioni in prima persona: si tratta quindi di una relazione parallela che se, giustamente guidata dall’operatore, può diventare un insostituibile rapporto di tipo collaborativo. Anche gli operatori sono individui dotati di sensibilità ed emotività: è grazie a queste doti che possono sviluppare l’empatia necessaria ad avvicinarli agli anziani. L’emotività viene messa a dura prova quotidianamente, dalla gravosità di prestare aiuto a persone che soffrono.
Via Wikipedia.
Non è opportuno per nessuno esorcizzare le proprie fragilità negandole. Al contrario è utile imparare a riconoscerle sempre meglio, ad accettarle e cercare di comprendere cosa fare per se stessi.


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